Le interviste agli scrittori

Eugenio Baroncelli

 

Versione Testuale

Si potrebbe dire che è una serie di storielle o storiette, che partono probabilmente da una considerazione inconscia. Diciamo che sono tutte storielle che hanno un paio di fonti alla loro base: un vecchio libro degli anni settanta e alcune cose che mi sono capitate. Storielle, storiette, chiamatele come volete.

La questione dei nomi, che naturalmente sono tutti falsi, è interessante, importante. Una delle cose più difficili è stata quella di trovare i nomi giusti per la storia giusta. Ora, che si tratti di nomi femminili piuttosto che maschili dipende dal fatto che alle mie orecchie suonano meglio: però non sono necessariamente storie femminili, solo i nomi lo sono.

Si può scrivere un libro e lasciarlo nel cassetto, se lo legge solo quello che l'ha scritto, ma sostanzialmente non si può negare che uno scriva per essere letto. Non credo che sia essenziale, però è chiaro che fa parte del gioco: alla fine qualcuno che legge bisogna che ci sia. Tuttavia, il primo lettore di un libro è chi l'ha scritto.

(Riferito ad un passo del libro) E' un proverbio francese che tradotto letteralmente suona più o meno così: "Il meglio che si possa riportare a casa da un viaggio è sé stessi".

Mi diverto tuttora a rileggere le cose che ho scritto, perché mi sembra sempre che le abbia scritte qualcun altro.

(Legge un passo del libro) "Da ragazzo, quando non ero nessuno, sognavo di essere qualcuno. Più avanti, quando ero stanco di essere qualcuno, sognavo di essere qualcun altro. Quando ne avevo abbastanza di essere qualcun altro, sognavo di ritornare nessuno. Adesso sogno di non svegliarmi più".

Non ci si propone quello che si vuole scrivere: (le storielle) arrivano alla fine, leggerle è una sorpresa anche per chi le ha scritte.