Le interviste agli scrittori

Cristiano Cavina

Titolo del libro: "Un'ultima stagione da esordienti"

 

Versione testuale

"Certe cose sono difficili da spiegare, a volte le storie si rintanano in posti segreti, impervi in cui le parole non riescono ad arrivare e anche se ce la fanno riescono solo a sfiorarle con la punta delle dita. Ricordo perfettamente il resto della partita, come ricordo nitidamente il sudore che mi bruciava negli occhi e il cuore che mi batteva nelle orecchie. Volendo potrei fare la telecronaca degli ultimi dodici minuti, passaggio dopo passaggio, tentato omicidio dopo tentato omicidio...."(cit.)

Pensavo al periodo in cui avevo dodici...tredici anni, facevo la terza media...eh insomma...a scuola non andavamo tanto bene, litigavamo con i professori, le compagne di classe non ci volevano perché eravamo orrendi, uscivamo da scuola e i ragazzi più grandi ci menavano, eravamo completamente inadeguati al mondo.....e c'era un unico posto in cui stranamente eravamo perfetti ed era un rettangolo d'erba di 50 metri per 100 e lì dentro sapevamo cosa fare......la passione per il calcio con la c minuscola  ti faceva sentire utile almeno in una piccola cosa, eri utile a qualcosa...sapevi farla.

Io mi reputo più un narratore che uno scrittore, scrivo di quello che so, quello che  so sono le storie che ho vissuto, che mi hanno raccontato quando ho iniziato a lavorare nel bar a undici anni, insomma cerco di scrivere un'epica del quotidiano, tutta una mia mitologia di persone comuni che a me  sembrano invece personaggi leggendari.

Io non scrivo tutti i giorni, perché le storie anche se le ho in mente devono......è come...penso,io non saprò mai com'è,  è come rimanere incinta immagino, nel senso che io ho un'idea dentro di me, vedo che c'è un piccolo nucleo e poi con il passare del tempo me la rigiro in mente quando sono in treno, mentre leggo un libro o  mentre lavoro in pizzeria o sono in giro, finchè  non arriva un punto in cui  la storia non mi sta più dentro, nel senso che è grande e deve nascere.

Io scrivo con molta rabbia quando scrivo, perché son fatto così, sono cresciuto in una famiglia  particolare...senza padre,.... e così ho sempre questa tensione di voler dimostrare le cose. Ho paura che se divento chic o corretto questa rabbia mi lascia, quindi cerco di fare delle scelte che mi tengono sempre in bilico.

Faccio  fatica a pensare a me fuori da Casola, perché le storie che racconto sono qui ed io devo starci sempre in mezzo.

"Eravamo l'ultima speranza di un bellissimo luogo morente, Casola, sola di fronte alla fine del mondo, noi eravamo la rocca di Gibilterra.."(cit.)